DOVE: Via D. Scarlatti 3 (mm Lima), tel. 0229531106
QUANTO: menù di mezzogiorno 9,50 euro.
PER: chi vuole digerire fino a cena prelibatezze coreane.
DA PROVARE: una a caso tra queste.
Ieri ci sentivamo pronti a provare qualcosa di nuovo e così abbiamo pascolato fino al Gaya, localino corano a due passi da Corso Buenos Aires. Abbiamo saputo della sua esistenza poco prima che i mac andassero in stand by. Ci siamo documentati in loco, tramite telefono, solo una volta ordinato.
Il locale è piuttosto spoglio, i tavoli sono ben distanziati, il pavimento è desolante. Ad accogliervi all'ingresso ci sarà una spillatrice Tuborg, forse mai usata, rivolta verso la parete. Io l'ho confusa per una stufa, per dire. Oltre alla spillatrice c'è la proprietaria del ristorante e sì, accettano i buoni pasto, a patto che li chiamiate ticket. La ragazza era sola, quindi abbiamo aspettato un bel po' prima di ordinare. In compenso nel servizio sono velocissimi, il che è sempre una bellezza. Ci sono molti piatti tra cui scegliere. Non conosco la vostra cultura in pietanze coreane, ma la nostra era pari a zero. Oltretutto eravamo gli unici ignoranti, visto che il locale era prevalentemente frequentato da asiatici. Un collega ha azzardato un: questo è sempre un buon segno! E noi ci siamo fidati.
La soluzione menu pranzo è ottima, perché i prezzi sono contenuti (a differenza del menu classico, piuttosto costoso), e le porzioni abbondanti. Il menu comprende un piatto principale (che in verità è una pentola incandescente), tre antipastini di rappresentanza e una bottiglietta d'acqua (anche se servirebbe una tanica). La pentola è buona: qualunque sia quella che sceglierete troverete del riso, sommerso da diversi ingredienti. Io ho scelto il menu Kimci Bibimbap, che è quello che vedete nella foto qui a fianco (sì, ok, ho scelto chiaramente il peggiore, ma essendo allergica alla soia era l'unico che potessi ordinare). Due parole sui tre antipastini. Dirò solo: alghe secche, wurstel tagliati a fettine, cavolo coreano piccante. Un triumvirato di tristezza.
Abbiamo pasteggiato con le nostre bacchette di metallo complicate, evitando il cucchiaio (che pure c'era), emulando tutti gli altri. Fatica che si è aggiunta alle lacrime provocate dal grado di piccantezza del tutto. Alla fine ci siamo chiesti un po' come fosse questo posto. Non siamo arrivati ad una risposta definitiva. Bisogna andarci, una volta, e poi magari non tornarci per qualche anno.
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